Ma tu ci hai mai creduto alla storia che amare il proprio lavoro equivalga a non lavorare nemmeno un giorno della tua vita? Ad alzarsi belli freschi, ad essere sempre felici e sorridenti? 

Secondo me sono tutte minchiate.

Certo, aiuta e non poco. Diventa una protezione quando le cose si mettono male, quando quel cliente ti manca ancora una volta di rispetto, quando quel lavoro che tu credevi perfetto torna indietro perché non lo era.

Amare il proprio lavoro è utile, si, ti fa sentire invincibile, instancabile, ma non basta. Non ti esonera dallo sconforto, non ti salva da te stesso quando ti chiedi, ancora una volta, l’ennesimo sforzo, l’ennesima rinuncia, l’ennesimo “sacrificio”.

E così, senza che te ne accorga, scivoli passo dopo passo, rinuncia dopo rinuncia, sacrificio dopo sacrificio, verso il famigerato burnout

“Burnout”. Una parola che vuol dire tutto e non vuol dire niente. 

Non credevo fosse possibile incontrarlo così, è stato un processo lento e costante: davo tutto me stesso senza mai ricevere nulla in cambio, mi sbattevo da una parte all’altra per accontentare i capricci di alcuni clienti senza avere mai una parola di gratitudine. Ero così impegnato a realizzare i sogni degli altri che i miei li avevo dimenticati.

Non mi riconoscevo più e ho iniziato ad odiare tutto quello che facevo e, a macchia d’olio, tutto quello che era intorno a me.

Basta con le scadenze. 

Basta con i clienti.

Basta alzarsi stanco la mattina e a cercare a fatica un briciolo di entusiasmo.

Basta dire sempre di sì perché “altrimenti sembra male”.

Basta.

Basta con tutto.

Però, devo essere grato a questo periodo nero perché mi ha reso più consapevole e mi sta aiutando a trovare un equilibrio tra le mie asimmetrie

Fermarsi mi è stato utile: a tagliare via rami secchi, ad allinearmi con i miei valori e a lasciarmi dietro zavorre che mi appesantivano cuore e anima.

Ho rifiutato progetti non “sani”. Un tempo li avrei presi senza pensarci due volte.

Ho tolto i servizi che non sento più miei, lasciando solo quelli che so di poter svolgere con entusiasmo e con la massima professionalità.

Ho deciso di lavorare solo con chi è in linea con i miei valori o, quantomeno, con chi ha come valore comune quello del rispetto, perché solo così sono sicuro di poter dare il massimo ad ogni progetto.

Ho fatto pace con il calendario ritagliando dei momenti per la formazione, per me stesso e per le mie passioni.

Fermarsi è ok. Respirare anche. Fare spazio ancora di più.

Non è questione di amare o meno il proprio lavoro. Diventa necessario quando abbiamo perso il contatto con noi stessi, con i clienti, con i colleghi…amici, con chi ci sta intorno.

È solo fermandoci a respirare che possiamo fare ancora qualcosa di buono, che possiamo smettere di essere macchine, di guardare noi stessi allo specchio e non riconoscerci più.

Forse dovremmo smetterla di inseguire l’impossibile, non per inadeguatezza o altro, ma per il semplice fatto che così, solo così, possiamo tornare a vivere e a godere di quello che facciamo.  

🎧 Nelle cuffie: Zach Bryan – Pink Skies

Zach Bryan – Pink Skies (youtube.com)

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Amare il proprio lavoro è utile, si, ti fa sentire invincibile, instancabile, ma non basta. Non ti esonera dallo sconforto, non ti salva da te stesso quando ti chiedi, ancora una volta, l’ennesimo sforzo, l’ennesima rinuncia, l’ennesimo “sacrificio”.

E così, senza che te ne accorga, scivoli passo dopo passo, rinuncia dopo rinuncia, sacrificio dopo sacrificio, verso il famigerato burnout

“Burnout”. Una parola che vuol dire tutto e non vuol dire niente. 

Non credevo fosse possibile incontrarlo così, è stato un processo lento e costante: davo tutto me stesso senza mai ricevere nulla in cambio, mi sbattevo da una parte all’altra per accontentare i capricci di alcuni clienti senza avere mai una parola di gratitudine. Ero così impegnato a realizzare i sogni degli altri che i miei li avevo dimenticati.

Non mi riconoscevo più e ho iniziato ad odiare tutto quello che facevo e, a macchia d’olio, tutto quello che era intorno a me.

Basta con le scadenze. 

Basta con i clienti.

Basta alzarsi stanco la mattina e a cercare a fatica un briciolo di entusiasmo.

Basta dire sempre di sì perché “altrimenti sembra male”.

Basta.

Basta con tutto.

Però, devo essere grato a questo periodo nero perché mi ha reso più consapevole e mi sta aiutando a trovare un equilibrio tra le mie asimmetrie

Fermarsi mi è stato utile: a tagliare via rami secchi, ad allinearmi con i miei valori e a lasciarmi dietro zavorre che mi appesantivano cuore e anima.

Ho rifiutato progetti non “sani”. Un tempo li avrei presi senza pensarci due volte.

Ho tolto i servizi che non sento più miei, lasciando solo quelli che so di poter svolgere con entusiasmo e con la massima professionalità.

Ho deciso di lavorare solo con chi è in linea con i miei valori o, quantomeno, con chi ha come valore comune quello del rispetto, perché solo così sono sicuro di poter dare il massimo ad ogni progetto.

Ho fatto pace con il calendario ritagliando dei momenti per la formazione, per me stesso e per le mie passioni.

Fermarsi è ok. Respirare anche. Fare spazio ancora di più.

Non è questione di amare o meno il proprio lavoro. Diventa necessario quando abbiamo perso il contatto con noi stessi, con i clienti, con i colleghi…amici, con chi ci sta intorno.

È solo fermandoci a respirare che possiamo fare ancora qualcosa di buono, che possiamo smettere di essere macchine, di guardare noi stessi allo specchio e non riconoscerci più.

Forse dovremmo smetterla di inseguire l’impossibile, non per inadeguatezza o altro, ma per il semplice fatto che così, solo così, possiamo tornare a vivere e a godere di quello che facciamo.  

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